L'eccidio di Nocera
L'eccido di Nocera, passato alla storia anche come la strage di Nocera, fu l'episodio più sanguinoso, a eccezione delle guerre che si combattevano all'epoca, accaduto nella nostra regione durante tutto il Medio Evo. Sotto questo nome si riuniscono il fatto, cioè l'uccisione di due dei tre fratelli Trinci, e la reazione, cioè l'immediata vendetta del fratello superstite, che costarono complessivamente la vita a oltre trecento persone.
Antefatto
Al tempo in cui era Signore Corrado II Trinci (1377 - 1386), viveva in una villa della montagna folignate, Rasiglia, un "villano" chiamato Pasquale di Vagnolo, impiegato dai Trinci come esecutore di "lavori sporchi": "executioni martorij, asasinamenti, homicidia et altru malfare per piacere delli Signiuri".
Egli fu ricompensato con ingenti ricchezze e con il possesso della Rocca di Rasiglia ma, per qualche motivo a noi sconosciuto, ebbe dei contrasti con Corrado che lo spodestò, gli requisì parte delle proprietà, e infine lo bandì da Foligno.
Uno dei figli di Pasquale, Pietro (l'altro di cui conosciamo il nome era Nanni), prese in moglie Orsolina di Nicola di Catagnone della Fratta di Trevi, descritta come una giovane e bellissima gentildonna, e andò a vivere con lei a Foligno, anche se "pocu in gratia delli Signuri".
Dopo la morte di Ugolino III (11 maggio 1415), i titoli passarono al maggiore, Niccolò, che comunque condivise la gestione del potere con due dei suoi fratelli: Bartolomeo e Corrado.
Niccolò, descritto come "severo con crudeltà, libertino con violenza" si era invaghito (o, secondo alcune fonti, innamorato) di Orsolina, ed era ricambiato dalla donna.
Parruccio Zampolini, contemporaneo dei Trinci e autore degli "Annali di Spoleto", ci racconta che Niccolò fece una proposta al marito della donna: la Rocca di Nocera - cioè la più bella, la più ricca e la maggiormente fortificata di tutti i castelli dei Trinci - in cambio delle grazie della sua sposa; Ser Pietro di Pasquale da Rasiglia divenne quindi Castellano di Nocera. Altre fonti ci danno ser Pietro già Castellano, senza fornire altre spiegazioni.
Niccolò alloggiava spesso nella Rocca, sia a causa dei suoi doveri di amministratore, sia perchè amava cacciare nelle selve intorno a Nocera. O, almeno, queste erano le giustificazioni ufficiali che, vere o no, facevano da copertura alla sua tresca con Orsolina.
A un certo punto, però, ser Pietro scoprì i due amanti e, anziché prendersi la sua vendetta al momento, "dissimulò lo sdegno" e meditò di liberarsi del rivale in amore e della tirannia dei Trinci in un colpo solo.
La caccia
Per avere tutti e tre i fratelli Trinci nello stesso luogo e nel medesimo momento, ser Pietro pensò di organizzare una grande battuta di caccia, certo che nessuno di loro vi avrebbe rinunciato. L'8 gennaio del 1421 inviò quindi un messaggio al palazzo Trinci, con cui invitava i tre fratelli alla Rocca per il giorno seguente, poichè la mattina successiva, di buon'ora, avrebbero dato la caccia al "più smisurato e gran porco cinghiaro che mai in quelle selve si fosse visto".
Niccolò e Bartolomeo accettarono entusiasticamente, e si unì alla compagnia anche Berardo da Varano, Signore di Camerino, che si trovava in quel momento a Foligno insieme ad altri nobili di Matelica e Fabriano. Corrado invece declinò l'invito, perchè invitato a un ricevimento di nozze in quel di Trevi.
Il giorno seguente, i due fratelli Trinci, il da Varano e gli altri nobili, si recarono a Nocera, dove giunsero in tempo per la cena.
Per la notte Niccolò e Berardo da Varano alloggiarono nella Rocca, mentre Bartolomeo e gli altri nobili al seguito si sistemarono in una delle locande della città.
L'assassinio dei fratelli Trinci
A notte fonda, con la complicità delle guardie del castello, ser Pietro e suo fratello Nanni enrarono nella camera dove dormiva Niccolò. Immobilizzato Niccolò dalle guardie, ser Pietro "prima tagliò via tutti dui i sonagli col membro virile insieme e poi cavògli crudelmente il core". Non contento di questa già cruda vendetta, infierì furiosamente sul cadavere smembrandolo con le proprie mani.
Ancora lordo di sangue, fece irruzione nella camera del Duca di Camerino, e lo fece imprigionare.
Era ormai l'alba e quelli che alloggiavano in città si stavano preparando per la caccia; ser Pietro mandò a chiamare d'ugenza Bartolomeo, a nome del fratello. Questi, che nulla poteva sospettare, entrò tranquillamente nella Rocca, insieme ad alcuni dei suoi compagni; furono immediatamente presi e imprigionati, a eccezione di Bartolomeo che fu condotto nella camera dove giaceva il cadavere del fratello.
Matteo Bandello, nella sua "Novella LV", mette in bocca al Castellano queste parole: "Bartolomeo[1], ecco il ribaldo adultero di tuo fratello; vedi qui il capo e riconoscelo a le sue fattezze. Quanto mi duole che Corrado non sia a queste nozze che io faccio, perchè anch’egli se ne sederebbe a questa sontuosa mensa, a ciò che nessuna reliquia del sangue dei tiranni Trinci al mondo restasse. Ma chi fa ciò che può ha fatto assai. Io non ce l’ho potuto cogliere: che maledetto sia Trevio e chi ci abita."
Ciò detto, trafisse Bartolomeo con la spada e lo lasciò dissanguarsi sopra al corpo di Niccolò.
- ↑ In realtà il Bandello lo chiama Cesare, evidentemente confondendosi.
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