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Origine del nome

Il termine “quintana” deriva con ogni probabilità dal nome di una delle strade interne all'accampamento (castra) romano, ubicata “ai due lati del Pretorio” dove “viene lasciato uno spazio di cinquanta piedi tra il V e il VI squadrone e allo stesso modo tra il V e il VI manipolo di fanteria in modo che ne risulta un‟altra via in mezzo alle legioni, perpendicolare ai quartieri e parallela alle tende dei tribuni: questa via si chiama Quintana perché si trova lungo le tende della V squadra” (Polibio, VI, 27-32). In questo settore specifico, destinato all'allenamento dei legionari, i soldati armati di lancia si lanciavano per infilzare un anello tenuto in una mano da un fantoccio .

Dal punto di vista storico la Quintana, invece, è quella statua o fantoccio di legno che raffigura un guerriero armato, verso il quale come ad un bersaglio, corrono i cavalieri con le lance. Esso viene chiamato anche Saracino con riferimento alle Crociate o alle guerre contro i Turchi, Chintana o Buratto e rappresenta una mezza figura, che nella mano sinistra tiene lo scudo, nella destra la spada od il bastone. Tale statua, se non è colpita al petto, ruotando si gira e colpisce colui che sbaglia il colpo.

La Statua della Quintana

Si erge con portamento fiero, fissandoci con gli occhi sgranati e l’espressione ferma di chi non tentenna nel lanciare una sfida: è la preziosa statua lignea – esposta nel Museo Multimediale dei Tornei, Giostre e Giochi Storici di Palazzo Trinci – simbolo indiscusso della rievocazione storica della Quintana. Si tratta di una scultura alta 141 centimetri che riproduce le fattezze di un guerriero armato, quale probabile raffigurazione di Marte, il dio della guerra della mitologia classica. La statua è abbigliata secondo l’equipaggiamento in uso nell’esercito romano: il capo è coperto da un elmo finemente lavorato e ornato da una lunga cresta, il busto è rivestito di una lorica squamata, anch’essa arricchita da varie decorazioni, fra le quali il volto di una Gorgone, agghiacciante mostro mitologico dai capelli ricciuti misti a serpenti; la lorica termina con il tipico gonnellino formato da frange di cuoio, i cosiddetti “pterigi”. Con il braccio sinistro la statua tiene uno scudo ovale che riproduce lo stemma bipartito del Comune di Foligno: troncato d’oro e di rosso, nel primo di bianco caricato di una croce rossa (insegna del Magistrato), nel secondo di rosso caricato di un giglio d’argento (arme del Popolo). Il braccio destro è teso verso l’esterno parallelamente al suolo; sulla mano chiusa a pugno è stato inserito un supporto in legno e metallo per consentire l’utilizzo della scultura come simulacro di una giostra ad anelli. La statua termina all’altezza del gonnellino ed è pertanto priva delle gambe, essendo fissata ad un perno con piedistallo. La superficie scolpita presenta consistenti tracce della originaria decorazione policroma, resa più visibile in seguito al restauro eseguito nel 1996, mentre sullo scudo e sull’elmo si scorgono resti di una sottile lamina d’oro.

colspan="2" La statua originale La copia usata al Campo de li Giochi

Nella Sezione di Archivio di Stato di Foligno è conservato un importante documento, reso noto da Gabriele Metelli nel 1983, che getta luce sulla datazione e sulla paternità di quest’opera d’arte. Il testo è datato 1° gennaio 1550 e riporta, sotto il titolo di “Spese facte per fare la Inquintana et posamento d’essa”, le cifre pagate a vari “mastri” e artigiani, fra i quali anche due pittori, “mastro Belardino pettore e mastro Alisandro pettore”; il primo potrebbe essere identificato, anche se a livello dubitativo, con il figlio del più noto Pierantonio Mezzastris, il secondo – come suggerito da Stefano Felicetti – è probabilmente Alessandro Barnabei, artista attivo nel 1536 nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Spello e nel 1547 nel palazzo comunale di Foligno. Come ha notato Paola Tedeschi, in questa nota spese si parla di un “roco de noce” e di un “rocho de ormo” e Roberto Saccuman, che ha collaborato al restauro del 1996, conferma che la statua in nostro possesso è realizzata proprio in legno di noce in parte svuotato e riempito con un tronco di olmo, per cui si può concludere che la nota si riferisca proprio alla nostra scultura. Tali osservazioni permettono di correggere la datazione solitamente proposta per la statua – prima metà del Seicento – anticipandola alla metà del secolo precedente. Bruno Toscano sottolinea che la resa accurata dell’elmo istoriato e dell’armatura decorata richiama ancora caratteri propri del classicismo erudito di marca cinquecentesca; secondo lo studioso, i lineamenti fortemente accentuati (gli occhi spalancati, la bocca turgida e semiaperta) presupporrebbero l’assimilazione della sensibilità barocca di stampo romano. Il documento del 1° gennaio 1550 attesta in modo inequivocabile che la statua venne realizzata a spese del Comune di Foligno e permette di dirimere la controversa questione circa la proprietà dell’opera, rivendicata dalla famiglia folignate dei Gregori. La querelle nasce da un’erronea interpretazione del cosiddetto “Offizio della custodia”, che a partire dal 1570 fu acquistato per i suoi quattro quinti dalla famiglia Gregori; si tratta di una magistratura straordinaria con un mandato definito nel tempo, dal 17 gennaio all’ultimo giorno di Carnevale. Segno tangibile dell’inizio del Carnevale e dell’Offizio della custodia era l’esposizione della Statua dell’Inquintana, o Saraceno, in piazza davanti al palazzo dei Priori, nel giorno di Sant’Antonio (17 gennaio), fino al martedì grasso. La statua della Quintana quindi non è mai stata di proprietà della famiglia Gregori: realizzata a spese del Comune, era custodita nel palazzo dei Priori, come si legge nell’"Inventario delli mobbili esistenti nel Palazzo della Magnifica Comunità di Foligno", datato 10 gennaio 1633, dove, all’interno della camera da basso nel cortile, viene citato il Saracino con il suo ceppo. I documenti attestano che la scultura venne usata nel gennaio 1613 per celebrare le festività patronali e carnascialesche con una gara cavalleresca. Nel 1833 venne deciso di sospendere l’esposizione della statua durante il Carnevale. Nel 1946 il simulacro venne ritrovato presso la famiglia Gregori, che evidentemente l’aveva custodito dal 1833 fino a quel momento, quando cioè nacque la rievocazione storica della Giostra della Quintana.

I Baroni Gregori

Nel 1483, papa Sisto IV confermò al Comune di Foligno la nomina degli Ufficiali della Custodia. Il loro compito era quello di prevenire scandali e di vigilare sulla città particolarmente durante il giorno di san Feliciano e di dirigere, con il titolo di Cavalieri dell'Inquintana, i festeggiamenti carnevaleschi. Il Cavaliere dell'Inquintana non solo amministrava la giustizia civile ma doveva curare l'esposizione in piazza della statua dell'Inquintana tra il giorno di Sant'Antonio Abate (17 gennaio) e il martedì grasso, ultimo giorno di Carnevale. La famiglia Gregori assunse tale compito nel 1570 ma essa non era né custode della statua, visto che era custodita nel Palazzo Priorale, né era la proprietaria.

Il 17 Gennaio di ogni anno, sulla piazza maggiore della città, veniva esposto il famoso fantoccio chiamato Inquintana o Saracino, e che rimaneva per tutto il tempo di Carnevale. L’esposizione era a cura del “Cavaliere dell’Inquintana”: egli doveva vigilare sull’ordine pubblico, chiudere le porte Badia e Santa Maria il giorno della viglia della festa e effettuare funzioni di controllo. La famiglia dei Baroni Gregori, che fin dal 1570 aveva acquistato a titolo oneroso l'ufficio della custodia della città, con molti privilegi ad essa inerenti, ne era la gelosa custode e conservatrice. Un manoscritto dell'epoca recita: "Per tale oggetto e per varie somme sborsate dalla suddetta famiglia Gregori alla Comune, viene da questa pagata annualmente la somma di scudi 54, come rilevasi dalla tabella sanzionata dalla Sacra Congregazione del buon governo."

"Al suono della campana del palazzo priorale, li trombetti e i tamburini vanno in casa delli Gregori come in atto di ossequio". Sono le otto di sera; i nobili cavalieri entrano in campo. Oltre la Magistratura, assiste un pubblico numerosissimo. Ciascun Cavaliere, col suo bravo cappello piumato e col suo varipinto mantello, armato di tre lance giunge accompagnato da un padrino e da una trombetta. La Giostra incomincia. I due cavalieri che avranno la fortuna di colpire più volte il viso del fantoccio, senza essere colpiti dal suo pugno armato, saranno premiati.

Con la restaurazione dello Stato Pontificio, il quale riorganizzò il proprio assetto amministrativo eliminando molte cariche ormai obsolete, fu cancellato, nell'anno 1833, il compito della famiglia Gregori di esporre la statua del Saraceno in piazza. La Statua della Quintana fu sistemata a Palazzo Gregori non prima del 1834, anno in cui la sua esposizione in piazza divenne ridicola.

A. Monichini “sindico della Communità” di Foligno almeno da un dozzina di anni, nel 1699 afferma: “Ogn'anno la mattina di San Antonio Abbate (17 gennaio) ho messo il Saracino, che si conserva in Palazzo priorale, nella piazza publica dell'istessa Città e, l'ultimo giorno del Carnevale, l'ho levato e riposto in detto palazzo. E così ho osservato in ogn'anno fino al presente”. Il Saraceno o Inquintana segna, così, il principio e la fine del Carnevale folignate da Sant'Antonio a Martedì grasso, periodo in cui ricorre anche la festa del Santo Patrono Feliciano, definendo in questo modo il contesto di più momenti festivi ed un ciclo situato tra il cadere dell'inverno e lo sbocciare della Primavera. Inoltre il Carnevale entra nel giorno dedicato ad un santo molto legato alla vita del popolo minuto, ma attraverso formalità che appartengono al potere ed al patriziato cittadino. Il Saraceno esce dal Palazzo Priorale e poi vi rientrerà. Questo è il palazzo da cui la vita amministrativa e, in genere, pubblica della città trae il suo alimento ed in cui si radica il potere cittadino che è gelosamente rivendicato e gestito dal ceto gentilizio.

Una lettera del segretario di Stato, datata 31 gennaio 1833, ordinò di "togliersi l'uso di tenere appeso nella piazza pubblica un fantoccio dirante il carnevale, che non poche volte aveva dato causa a sconcerti, e massime perchè la sospensione del medesimo si faceva in un punto centrale della città e in luogo prossimo al corpo di guardia."

La famiglia Gregori protestò, inviando una lettera al Vescovo della Città: "Malgrado però quest'uso inveterato, questa consuetudine non mai interrotta, si pretende in quest'anno dalla Magistratura di impedire una tale esposizione all'odierno Barone Brandolice Gregori, e quasi per via di fatto spogliarlo di tal privilegio. Bramando egli che sia mantenuto questo antico privilegio, si rivolge all'autorità di E.V.R. acciò si degni di ordinare, che venga osservato il solito, e siccome è imminente il detto giorno 17 Gennaro, però supplica l'E.V.R. di abbassare prontamente gli ordini opportuni alla Magistratura di Fuligno, a ciò per evitare qualunque inconveniente potesse succedere sul volersi introdurre una novità in pregiudizio delle famiglia Gregori, che è in possesso di tal prerogativa. Vari anni sono, il ricorrente sulle jattanze di questa comunità, si rivolse a Monsignor Spinola in allora Delegato di Perugia, e fu onorato del rescritto, che si osservi il solito, del quale ora si fa istanza all'E.V.R." Con i consueti ossequi, la famiglia Gregori chiudeva il suo discorso, che in realtà non approdò a nulla. Alla famiglia Gregori, tuttavia, va il merito di aver conservato per più di 100 anni la Statua e per questo nel 1991 l'Ente Giostra donò ai discendenti della famiglia Gregori una delle due copie del Saracino, in vetroresina, per ringraziarla del compito eseguito.

Origine della Giostra della Quintana

Le cronache ci tramandano diverse notizie su varie Giostre corse a Foligno ma la maggior descrizione la troviamo per quella del 1158 corsa in onore dell'Imperatore Federico I (Barbarossa). Lo storico folignate Ludovico Jacobilli ci fa sapere che ne risultò vincitore, contro i cavalieri tedeschi della scorta, il nobile folignate Ferrara Pandolfi che ebbe in dono dal sovrano la possibilità di aggiungere il nome Elmi al cognome e di inserirlo nello stemma araldico. In seguito le cronache di Riccardo di San Germano ci tramandano i ricordi di una Giostra tenutasi in città in onore del Re di Puglia e di Sicilia Federico II che nel Gennaio 1240 scese a Foligno proveniente da Coccorone (Montefalco) per celebrarvi un congresso straordinario dei suoi seguaci nell'Italia centrale.

La prima notizia di una Giostra nella quale giovani cavalieri a cavallo dovevano infrangere le loro lance appuntite contro la Quintana ci viene da un documento in latino del 1448. In esso, redatto dal Cancelliere comunale del tempo, Bernardo De Albricis, troviamo scritto per la prima volta il termine di Quintana. Il De Albricis, nel redigere un “regolamento” per le celebrazioni della festa di San Feliciano, parla dell’esposizione di un “Palio Aquefranche” che si aggiudicherà il vincitore della giostra e di un anello (annulo argenteo et similiter) che dovrà essere infilato con la lancia. L'umanista Niccolò Tignosi, nel suo trattato “De origine Fulginatum”, attribuì ai Trinci, la cui signoria terminò nel 1439, la colpa di aver fatto sparire gran parte dei documenti dagli archivi cittadini, risparmiando solo la documentazione che riguardava la loro casata, e quindi la quasi totale assenza di documenti dei periodi precedenti.

Nel 1472 e nel 1497 si ha notizia di due giostre all’incontro, sempre tenute nel periodo carnevalesco. La prima avvenne il 9 febbraio, per festeggiare una donazione di Christofano Piccolomini, nipote del Cardinale. In quell’occasione la lancia aveva un anello di ferro in cima. La giostra avveniva quindi con un cavaliere contro l’altro e si assegnavano diversi punteggi a seconda di dove veniva colpito il contendente. Erano previste pene in caso di uccisione o ferimento. La seconda avviene invece per la festa di San Feliciano, a sostituire la precedente Corsa del Palio. Si hanno notizie di altre Giostre tenute negli anni 1527, 1554, 1600, 1613, 1616, 1713, 1718, 1720, 1740. Di tutte queste gare ci sono giunti dei racconti frammentari ad eccezione di quella del 1613 di cui troviamo oltre ai capitoli di giostra (regolamenti) una cronaca della gara.

La corsa, chiamata allora “Gioco dell'anello”, forse perché si dava in premio al vincitore un anello del valore di otto fiorini, si svolse nella Piazza Grande in occasione della Festa di San Feliciano. Infatti gran parte della giornata dedicata alla festa del patrono era dedicata ai “ludi publici” spettacoli di massa che fino alla metà del secolo XV erano effettuati nella seconda parte della giornata, come afferma il cancelliere De Albriciis che li elenca anche nel seguente ordine: spettacolo della pacca, corsa del toro, palio rosato, corsa all'anello, corsa delle meretrici.

La corsa dell'anello o all'anello era uno spettacolo cavalleresco riservato ai giovani nobili; essa prendeva il nome dal premio messo in palio: un anello d'argento del valore di otto fiorini. Oppure veniva chiamata giostra del termine latino “juxta” trasformatosi poi in jostare che vuol dire accostarsi, avvicinarsi, naturalmente ad un bersaglio fisso contro cui si infrangevano le aste.

Scopo precipuo della Giostra, ripresa ogni anno il 17 Gennaio, primo giorno di Carnevale, doveva essere il semplice spasso popolare, che si protraeva fino al giorno delle Ceneri. Ma da una memoria del 1613, in cui si parla di una contesa sorta tra i priori della città, se il cavaliere d'onore debba tener più alla grazia del principe o al favore di una gentilissima dama, possiamo sospettare che altre gare siano sorte, per risolvere altre questioni d'amore e di gentilezza, com'era costume in quei paesi dove la cavalleria ebbe il suo naturale sviluppo.

La distinzione sociale dei ceti si rivela, pertanto, direttamente. Certo il popolo partecipa a tutte e due le forme espressive del gioco nel senso che in entrambi i casi guarda, acclama, si eccita; ma la distinzione dei ceti avviene nel momento dell'agire non in quella del vedere. Infatti il diritto a correre ed a correre a cavallo è esclusivamente prerogativa della nobiltà, ceto sociale caratterizzato ed individuato, nei secoli centrali dell'età moderna, dalla partecipazione ereditaria a cariche di governo dalle quali i popolari erano esclusi. In questo contesto il patriziato manifestava le sue qualità intellettuali e come afferma il Volpi in un suo studio “Foligno è stato fino al Settecento uno degli ambienti culturali più vivi di tutta l'Umbria.” Per cui anche il gioco, almeno a partire dagli inizi del secolo XVII, sembra essere vissuto come espressione di prestigio intellettuale e quindi verrà effettuato esclusivamente dal ceto nobiliare che, in questo modo indicherà l'occupazione dello spazio fisico e simbolico della città.

In base alla documentazione esistente negli Archivi Priorali, nel 1603 si sentì il desiderio di ricostituire la giostra poichè, probabilmente, da qualche tempo essa non si correva più. Le interruzioni infatti erano frequenti: guerre, carestie, pestilenze interrompevano momentaneamente il suo svolgersi, ma essendo questa tradizione legata essenzialmente al patrono San Feliciano ed al Carnevale, molto radicata nella popolazione, ben presto venne ripristinata. Dall'atto notarile steso da Giovanni Battista Jacobilli il 10 luglio 1662, sappiamo che quasi sessanta anni prima, nel 1603, il Capitano Giulio Franchini da Bologna dette alla città di Foligno cento scudi con l'obbligo di reinvestirli sotto forma di censo, utilizzando la rendita annua per l'acquisto di un premio da dare al vincitore della Corsa del Saracino, “Cursus Saracinus” volgarmente detta Giostra, che ogni anno “quotannis” veniva corsa nella città di Foligno durante il Carnevale “tempore Bacchanalia”, o per la festa di San Feliciano, a discrezione dei Priori della città, amministratori perpetui della fondazione. Giulio Franchini, era figlio di Giovanni e di Alessandra Aldovrandi, importanti nobili bolognesi e militò come capitano dei cavalleggeri del Papa e dei fanti, sotto Pio V, Sisto V e Gregorio XIV. Il suo legame con Foligno dove visse fino alla sua morte fu determinato dal suo matrimonio con Allegrezza della nobile famiglia folignate degli Onofri, avvenuto nel 1570, anno in cui si trasferì definitivamente nella città di Foligno ove acquistò notevoli proprietà terriere.

La Giostra del 1613

Nel 1613 i Priori della città di Foligno poiché intendevano celebrare il Carnevale di quell'anno con grande solennità, incaricarono i Consiglieri comunali di organizzare uno spettacolo, che superasse ampiamente la consueta celebrazione di tale festa. I Consiglieri si dettero subito da fare riunendosi infinite volte nelle lussuose sale del Comune per studiare in quale maniera dare luogo all'importante manifestazione; ma le molteplici proposte suggerite non potevano essere realizzate sia a causa della stagione invernale, che per l'eccessiva spesa che esse comportavano. E poiché, per questo motivo, tra i Consiglieri “nacque uno strano et ostinato litigio” ecco che intervennero “accortamente i molto illustri Priori, i quali stabilirono che per via dell'armi si terminasse et con la vittoria si dovesse l'oscuro dubbio chiarire”. Per cui dettero l'incarico di organizzare questa manifestazione cavalleresca stilandone un regolamento con i relativi articoli all'allora Cancelliere protempore: Nobile Ettore Tesorieri di Andria. Egli accettò l'incarico, organizzò la manifestazione e scrisse il regolamento che intitolò: “Stimolo Generoso di Virtute”, inoltre decise di condurre la parte direttiva del gioco nominandolo: ”La Giostra della Quintana”. Il regolamento era composto di venti articoli, i cosiddetti “Capitoli” e fu scritto di suo pugno dal Tesorieri nel Codice Magistrati e Blasoni del “Magnifico Comune di Foligno” sotto il bimestre gennaio- febbraio 1613. Il documento consiste in una premessa in latino a cui segue un paragrafo in cui Tesorieri indica i Priori, i Giudici deputati e sè stesso nel suo ruolo di cancelliere e firmatario del testo. Nella pagina successiva appare, invece, il titolo che costituisce il “pretesto” per la giostra “Stimolo generoso di virtute”; seguono poi i venti Capitoli, il nome del Mastro di Campo (Capitano Aurelio Consoli), i cavalieri partecipanti con le “botte” conseguite ed i doni consegnati ai vincitori.

Nei 20 punti si ribadisce che la partecipazione è consentita solo ai nobili. Ogni squadra deve avere almeno un padrino e una trombetta. Il padrino deve avere la sua banda e le piume sul cappello. I punti verranno assegnati dai padrini e dal Mestro di Campo. Ogni cavaliere dovrà portare cinque lance, tre per la giostra e due per la folla. In ogni “carriera” si deve arrestare la lancia in tempo e ferire con la punta la testa della statua in modo che la lancia si spezzi. Tutti i cavalieri devono presentarsi al campo nel giorno e nell’ora stabilita e nessuno deve entrare prima del Mestro di Campo. Nessun cavaliere deve entrare nella “carriera” finchè non viene chiamato. Il primo a iniziare sarà colui che si presenterà per primo al campo, poi correranno alternativamente uno per volta. Prima della corsa le lance devono essere segnate e riconosciute e la grappella presente in cima deve venire colorata.

Nei capitoli 13 e 14 erano stabiliti i punti che ogni cavaliere poteva riportare: Capitolo 13: Chi ferirà in ciascuno degli occhi della Quintana guadagni quattro botte. Capitolo 14: Chi ferirà alto nella testa, cioè dai cigli in su, tre botte; dai cigli in giù, sino alla bocca, due botte; et dalla bocca in giù una botta; e chi ferirà della testa fuori non sia botta.

La perdita del cappello o del manto, della spada o della staffa comporta l’attribuzione di zero botte. Ogni cavaliere deve iscriversi con nome, cognome e finto nome. Chi farà più botte nelle tre carriere avrà il secondo premio pure se non appartiene alla squadra vincitrice.

Il documento prosegue con l’elenco dei cavalieri e dei punteggi e con il nome del vincitore: il cavaliere Fidele Bartolomeo Gregori, che vinse una collana d’oro del valore di 6.50 scudi. Il secondo premio, un gioiello del valore di 1.50 scudi se lo aggiudicò il cavaliere Confidente Cesare Barnabò.

L'antefatto della Giostra è costituito da un pretesto ed è proprio quest'ultimo che ci introduce in un ambiente culturale dotto e squisito, che anche a Foligno trova il suo spazio come afferma nel suo libro “Le Conditioni del Cavaliero“, pubblicato a Roma nel 1606 F. M. Jacobilli, vicario generale della Sabina “vir magnae eruditionis fere in onmi genere scientiarum". In esso lo Jacobilli afferma che “il nome di Cavaliero s'acquista per virtù ed eccellenza dell'armi la quale col proprio valore si guadagna” mentre dai suoi ragionamenti l'Amore, pur apprezzato, è assente. Il Tesorieri, invece, aggiunge a questa lettura la conoscenza del dibattito, molto diffuso nei luoghi di cultura, tra Amore e Potere. Quindi siamo in presenza di una piacevole disquisizione che avviene tra due gruppi: i Priori ed il Cancelliere da una parte ed altre persone dall'altra. Cioè ad un Cavalier d'honore, del quale si conoscono le virtù e le qualità, è di “maggior contento” mantenere “la gratia del suo Principe”, oppure scegliere il “continuato favore di bellissima e gentilissima dama”. Naturalmente il quesito non è di facile soluzione per cui i priori decisero di promuovere una Giostra per trovarla, invitando i cavalieri a disputare per l'una o per l'altra parte in causa. Alla giostra bandita a voce e pubblicata a stampa nei “soliti luoghi” si iscrissero cinque nobili cavalieri che, secondo la prassi, dettero il proprio nominativo a cui aggiunsero anche un finto nome: A. Beccafumi, cavalier Moro; C. Barnabò, cavalier Confidente; P.A. Unti, cavalier Saggio; B. Gregori, cavalier Fidele; P. Marcelli , cavalier Turco.

Così la sera del dieci Febbraio 1613, alle “venti hore”, alla presenza di numeroso pubblico, con a capo la Magistratura ed il Cancelliere della Città, in vesti sfarzose, venne celebrato il grande spettacolo “in magna huius civitatatis platea.” Nella parte centrale della piazza del Comune, illuminata da un grande numero di fiaccole e luminarie e con i palazzi intorno da cui pendevano raffinati e preziosi damaschi ed addobbi, fu posta un'artistica statua in noce massiccia; essa rappresentava il “belli Simulacrum” con il braccio destro aperto mentre in quello sinistro recava lo stemma di Foligno. A questo punto ogni cavaliere, al galoppo, doveva ferire il volto della Quintana in base al punteggio precedentemente elencato. Alla fine del gioco risultò vincitore Bartolomeo Gregori il “cavalier Fedele“ che fece nove punti ed ebbe in premio una collana d'oro del valore di 6.50 scudi ed il grande privilegio, per la sua famiglia, di conservare presso la sua dimora la statua del Saracino. Il secondo premio, un gioiello del valore di 1.50 scudi, aggiudicato a chi avrebbe fatto più botte nelle tre carriere pure se non appartenente alla squadra vincitrice, se lo aggiudicò il cavaliere Confidente Cesare Barnabò.

Bibliografia

Giulia Serafini, “La Quintana di Foligno: una città, una storia, un popolo”. - Tesi di Diploma in Mediazione Linguistica e Comunicazione Interculturale. “Foligno 1613 - La Quintana e la Città" - AA. VV. a cura di Luciano Piermarini. Gazzetta di Foligno Don Ferdinando Merli, "L'inquintana, giostra carnevalesca di cavalieri folignati", Gazzetta di Foligno N° 31 - Anno 1934. Ettore Thesorieri su Wikipedia Storia della Quintana

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